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Riforma pensioni: si pensa alle penalizzazioni per il 2021

La riforma pensioni continua a essere oggetto di discussioni nelle trattative fra Governo e sindacati. Nel mirino resta l’opzione Quota 100 che terminerà il 31 dicembre 2021. La formula del pensionamento anticipato con 62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva invocata dalla Lega, che ha riscosso successo fra i lavoratori, scadrà alla fine del prossimo anno.

Dal 2022, senza manovre legislative, rimarranno unicamente le regole più penalizzanti delle Fornero. 

Riforma pensioni: non ci sono le condizioni per investimenti in deficit

I piani degli esperti per la riforma pensioni devono necessariamente prendere in considerazione le esigenze dei lavoratori e le disponibilità finanziarie dello Stato. Unica cosa è che non si potranno più sostenere investimenti in deficit per garantire le pensioni anticipate; il cui onere inesorabilmente graverà sul bilancio dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.

In sostanza non ci sono le condizioni di effettuare investimenti in deficit: non ci sono soldi e sarà opportuno eseguire tagli da qualche parte. Ogni proposta che cerchi di andare incontro ad ambo gli schieramenti sarà tenuta a rispettare gli stretti vincoli del Ministero dell’Economia e delle Finanze, già alle prese con la gestione del super indebitamento pubblico.

L’unica via percorribile per la riforma pensioni rimane quella di un taglio degli assegni. Non avendo più modo di mettere mano sull’età pensionabile (67 anni per le pensioni di vecchiaia) servirà rinunciare a una parte della pensione.

Opzione donna alla tedesca

Pressato sia dall’OCSE sia dall’Unione Europea, l’esecutivo Conte penserebbe di concedere il pensionamento anticipato ai lavoratori con penalizzazione, sulla falsariga del modello tedesco. L’idea sarebbe di replicare il modello previsto per “opzione donna”, che dà modo alle lavoratrici di andare in pensione con 58 anni di età (59 per le autonome) e almeno 35 anni di contributi totalmente versati, esclusivamente con il calcolo previsto per il regime contributivo.

In sostanza, le lavoratrici chiedono all’Inps la rinuncia alla liquidazione col sistema retributivo per i contributi versati prima del 1996.