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Febbre suina

Febbre suina, Cina in ginocchio: panico tra i ristoratori

Durante gli ultimi mesi del 2019, gli allevamenti in Cina hanno subito la febbre suina, con i capi quasi dimezzati su base nazionale. Gli effetti dell’emergenza sanitaria sono emersi quasi subito. I prezzi della carne di maiale al chilo hanno sfondato la soglia dei 50 yuan, l’equivalente di 6,50 euro secondo il cambio attuale. Nel mese di gennaio 2020 l’inflazione aumentava nettamente, salvo arretrare nel prosieguo, anche per via dei danni riportati con il dilagare dell’epidemia. 

Febbre suina: carne di maiale a prezzi altissimi

Essendo un piatto fondamentale della cucina locale, il governo di Pechino ha incrementato le importazioni, cresciute del 134% nei primi otto mesi dell’anno per colmare la carenza. Dato tale boom, i prezzi avevano smesso di salire, scendendo fin sotto i 40 yuan al chilo. Numeri comunque elevati, visto che prima della febbre suina si attestavano tra i 20 e i 25 yuan. Agli inizi di settembre, uno dei principali fornitori di carne di maiale – la Germania – ha registrato un calo di febbre suina e di rimando la Cina ha dovuto sospendere l’import. 

Dunque, i ristoratori sono allarmati poiché non hanno più sufficienti suini importati e quelli locali costano fino a dieci volte tanto. Sostanzialmente, la sostituzione dei suini stranieri con quelli cinesi comporta per loro una consistente riduzione dei margini, tanto che certe attività stanno mettendo in preventivo di non ingaggiare dipendenti o di licenziare parte di quello che hanno.

Rincaro insostenibile

In alternativa c’è la possibilità di applicare un rincaro sui prezzi del menù, ma in numerosi casi è insostenibile, perché si rischia di perdere la clientela. Nel corso del 2020 le riserve di maiale sono crollate di 452 mila tonnellate e per Enodo Economics ammonterebbero intorno a 100 mila tonnellate, dopo aste per 570 mila solo nell’anno in corso. Se i ritmi fossero confermati entro 2-3 mesi finiranno esaurite.