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IVA buoni pasto: l’aliquota da applicare per non incorrere in sanzioni

Quale aliquota IVA bisogna applicare per i buoni pasto? Gli argomenti di carattere fiscale sono notoriamente spinosi e traggono, infatti, spesso in inganno i contribuenti, che magari finiscono col dovere sborsare una multa, pur avendo commesso un illecito inavvertitamente, senza la volontà effettiva di sottrarsi alla prestazione. A confondere le idee ci pensa la presenza di numerosi aspetti da prendere in considerazione e da valutare durante le valutazioni di rito. Ne abbiamo un esempio nella questione di nostro interesse.

Difatti, l’applicazione dell’aliquota IVA per i buoni pasto non è identica in qualunque circostanza, bensì muta in relazione alla tipologia del contratto siglato. I gestori delle mense aziendali e interaziendali devono considerare il 10 per cento, mentre nel rapporto tra datori di lavoro e società emittenti è al 4%. A fornire i chiarimenti riguardo alla fatturazione e alle istruzioni per calcolare la base imponibile è l’Erario, con la risoluzione del primo dicembre 2020, n. 75. 

Come da prassi, lo spunto per fare luce sulla corretta applicazione del regime IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) arriva dall’esame di un caso pratico. La richiesta di chiarimenti proviene da un gruppo di società che, tramite buoni pasto, commercializzano servizi sostitutivi di mensa aziendale ai datori di lavoro e stipulano degli accordi sulla base dei quali sono autorizzati ad accettarli soggetti commerciali, quali mense aziendali e interaziendali. Poi le mense aziendali e interaziendali sottopongono la fattura alle consociate per ottenere la restituzione delle somme spettanti. 

Come si determina la base imponibile

cubi iva

Secondo l’associazione, per determinare la base imponibile ci sono tre strade percorribili:

  • valore facciale del buono pasto – percentuale di sconto incondizionato (eventualmente pattuito convenzionalmente)= base imponibile da sottoporre ad aliquota IVA del 4 per cento;
  • valore nominale del buono pasto – percentuale di sconto incondizionato (eventualmente pattuito convenzionalmente) – scorporo IVA 4 per cento = base imponibile da assoggettare ad IVA del 4 per cento;
  • valore nominale del buono pasto – percentuale di sconto incondizionato (eventualmente pattuito convenzionalmente pattuito) – scorporo IVA 10 per cento = base imponibile da assoggettare ad IVA del 10 per cento.

Mediante la risoluzione del 01/01/2020, n. 75, l’AdE puntualizza che l’aliquota da applicare cambia in base alla forma del contratto:

  • la società emittente che fattura al datore di lavoro applica il 4 per cento e la base imponibile è formata dal prezzo stipulato tra le parti, indipendentemente dal fatto che tale prezzo sia superiore, pari o inferiore al valore nominale del buono pasto;
  • i gestori dei servizi di mensa applicano il 10%;

Il punto d’inizio dei chiarimenti è il decreto n. 122 del 7 giugno 2017 del ministero dello Sviluppo Economico, che disciplina il ricorso ai buoni pasto come servizio sostitutivo di mensa aziendale. 

Le parti che sono coinvolte sono innanzitutto i soggetti percettori, le società che li erogano e il datore di lavoro che li acquista. Tra i soggetti chiamati in causa si vanno ad instaurare due differenti rapporti contrattuali: 

  • uno tra il datore di lavoro e la società erogatrice del servizio;
  • uno tra la mensa aziendale ed interaziendale che accetta i buoni pasto e la società emittenti.

Fa fede la natura dell’operazione

bilancia IVA

Per accertarsi di aver applicato l’aliquota IVA idonea, occorre fare fede alla natura dell’operazione in oggetto. Il primo rapporto, tra società emittente e datori di lavoro, è fondato su una somministrazione, presso la mensa aziendale, di bevande e alimenti. Stando a ciò che sancisce il decreto del Presidente della Repubblica del 1972, n. 633, dal numero 37 della tabella A, parte II, si applica un’aliquota pari al 4 per cento.

Difatti, l’Amministrazione finanziaria spiega che l’aliquota del 4 per cento, stabilita per le somministrazioni di bevande e alimenti nelle mense aziendali, è da ritenersi applicabile pure qualora le medesime somministrazione siano vincolate a contratti, anche di appalto, riguardanti servizi sostitutivi di mensa aziendale, sempreché siano coinvolti i datori di lavoro. Detto in altre parole, la regola è applicabile, per via di una interpretazione ad ampio raggio, pure ai buoni pasto. 

Sulla seconda forma di rapporto, quella tra la società emittente e il servizio aziendale e interaziendale che accetta i buoni pasto, vige un’aliquota del 10 per cento. Il documento evidenzia che, a titolo di corrispettivo, le società di emissione dei buoni pasto applicano abitualmente una percentuale di sconto incondizionato sul valore facciale dei buoni pasto. 

In tali circostanze, la base imponibile deve essere quantificata applicando al valore facciale del buono pasto la percentuale di sconto convenuta, scorporando, pertanto, dall’importo così ottenuto, l’imposta in esso compresa, in linea con le percentuali riportate dall’art. 27 del DPR n. 633 del 1972 al comma 4.