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Pensioni: una su 4 sono errate, ecco perché e come chiedere il rimborso

Nel sistema previdenziale italiano c’è un problema di cui poco si parla ma che è largamente diffuso. Si tratta di pensioni che l’Inps paga in misura inferiore rispetto a quello che effettivamente dovrebbe essere. Pensioni sbagliate quindi, a discapito dei pensionati, che si trovano assegni inferiori rispetto a quello che avrebbero dovuto percepire. Nessuna pratica illecita o poco ortodossa da parte dell’Inps, perché il problema deriva da due situazioni che spesso dipendono dagli stessi pensionati. Si tratta dei diritti inespressi e dei contributi silenti. E così, in base alle statistiche che molti Patronati hanno pubblicato da tempo, circa una pensione su 4 ha di queste problematiche. Ma c’è una soluzione, perché i pensionati possono correre ai ripari. Vediamo nello specifico come e cosa occorre sapere.

Errori di calcolo e prestazioni da richiedere

Una pensione su 4 sbagliata significa che il 25% degli assegni previdenziali Inps è errato a sfavore del pensionato. Non è una cosa di poco conto questa, perché significa che molti pensionati avrebbero diritto ad una pensione più elevata di quella effettivamente percepita.

L’argomento da tempo è al centro di diverse campagne di sensibilizzazione che Patronati e sindacati di pensionati hanno avviato per spronare i loro tesserati a farsi controllare la pensione, proprio con l’obbiettivo di verificare eventuali errori sugli importi.

Questo perché se dalle verifiche emergono errori, può essere attivata la procedura per chiedere il rimborso all’Inps. In effetti sono molte le prestazioni previdenziali a cui mancano le somme aggiuntive come lo sono gli assegni familiari, le maggiorazioni sociali e l’integrazione al trattamento minino o l’integrazione al milione. In questi casi non è l’Inps ad erogare di sua iniziativa pensioni inferiori a quelle spettanti, ma è il pensionato che non fa richiesta di queste somme aggiuntive che spettano di diritto al pensionato stesso.

In questi casi si parla di diritti inespressi, cioè di diritti spettanti ma mai richiesti da parte del pensionato. Il controllo in questi casi si fa tramite il modello Obis/M, un modello che l’Inps non invia più per posta ai pensionati, ma che deve essere scaricato direttamente dall’area riservata ai servizi per il cittadino, del sito istituzionale Inps. Il modello Obis/M è la busta paga del pensionato, cioè il riepilogo di tutte le voci di cui è composta la prestazione previdenziale erogata. Quindi, pensione lorda, trattenute Irpef, eventuale trattenuta sindacale, ma anche maggiorazioni sociali, assegni familiari e così via. Solo controllando il modello Obis/M si può verificare la reale composizione della pensione, andando a controllare se ciò che si percepisce è giusto o meno.

Il modello Obis/M può essere scaricato direttamente dal pensionato in possesso di Pin dispositivo Inps. Questo Pin dal 1° ottobre non viene più rilasciato a nuovo dall’Inps, ma chi già lo ha, può continuare ad utilizzarlo in questa fase transitoria prima della definitiva cancellazione dello strumento. In alternativa e per i prossimi mesi, si può utilizzare lo Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale), la Carta Nazionale dei Servizi o la Carta di Identità Elettronica. Senza credenziali personali, i Patronati sono disponibili per provvedere dietro delega, a scaricare questo modello.

I pensionati hanno diritto a percepire anche gli arretrati nel caso in cui i diritti inespressi si sono protratti nel tempo. Il termine massimo per richiedere ciò che è effettivamente spettante è di 5 anni, perché poi si entra nel perimetro della prescrizione.

Contributi silenti

Altra cosa che può essere errata sulle pensioni è relativo al calcolo di queste. Infatti capita sovente che la liquidazione della pensione è stata fatto su un montante contributivo inferiore rispetto a quello accumulato dal pensionato nella vita lavorativa. Anche in questo caso l’Inps non centra nulla, perché è compito del pensionato ricostruire tutta la sua carriera lavorativa e sfruttare tutta la contribuzione a suo nome versata.

Ci sono per esempio contributi versati in casse previdenziali diverse da quella che ha liquidato la prestazione e che magari il pensionato ha dimenticato di inserire. Oppure non ha voluto inserirle per non pagare gli oneri di ricongiunzione. Una cosa che adesso può essere fatta tramite il cumulo gratuito, e pertanto, senza pagare gli oneri che la ricongiunzione prevedeva. C’è anche chi in sede di liquidazione della pensione non ha inserito il servizio militare. Altro errore comune questo, così come chi adesso può sfruttare il riscatto del periodo di studio universitario in maniera più economica di prima. Tutti i contributi non utilizzati fanno sorgere il fenomeno dei contributi silenti, cioè periodi di contribuzione versati e mai utilizzati, cioè soldi versati all’Inps o ad un altro Fondo, senza che questi eroghino la corrispettiva pensione agli interessati.

Una cosa comune anche a quei pensionati che hanno continuato a lavorare post quiescenza. Molti solo i pensionati che continuano a versare i contributi anche dopo la pensione (coltivatori diretti, artigiani o commercianti per esempio). In questo caso occorre farsi ricalcolare la prestazione alla luce dei contributi in più versati. Lo strumento è la domanda di ricostituzione di pensione, con la quale si possono aggiungere i contributi mancanti all’epoca della liquidazione della pensione. Una operazione che può essere fatta anche più volte negli anni in cui si percepisce la pensione.