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Dedollarizzazione: cos’è e chi la vuole

Scontro fra il presidente cinese Xi Jinping e gli Stati Uniti di Trump. La Cina intende strappare la leadership agli Usa entro 5 anni in diversi settori, specie in quello tecnologico. E la Russia di Putin vuole allearsi con Pechino: obiettivo, la dedollarizzazione. Ossia la volontà di disancorare la politica finanziaria cinese (e in parte mondiale) dalla valuta americana.

La Cina è sulla buona strada. Nel 2015 il 90% delle transazioni tra Russia e Cina erano regolate in dollari: nel 2020, siamo al 46%. È anche il momento giusto per la dedollarizzazione. Drammatico bilancio del Covid negli Usa con oltre 150mila vittime e un numero dei contagi elevatissimo. The Donald non è mai stato così in difficoltà, tanto che ha chiamato a esporsi la moglie e la famiglia in tv, in vista delle elezioni di novembre. Così si spiega il progetto di uno yuan digitale, il de-listing di numerose società cinesi dalle borse statunitensi e gli accordi con altri Paesi come India, Russia e Iran: per regolare gli scambi commerciali e gli investimenti bilaterali nelle rispettive valute. Basta con l’egemonia del dollaro Usa, perdurante da 75 anni. 

Cina e Russia sanno perfettamente che il Pil Usa del secondo trimestre 2020 è crollato del 32,9% (record assoluto) e per l’intero 2020 si stima una contrazione tra il 5% e il 7%. Inoltre, il deficit pubblico che quest’anno potrebbe raggiungere il 18% del Pil rafforzando il trend di deprezzamento del dollaro.

A far il gioco di Pechino, l’enorme espansione di bilancio realizzata dalla Fed con un incremento di circa 3000 miliardi di dollari da fine febbraio. Determinato da acquisti di titoli a oltranza. Nelle ultime settimane si è registrata una pausa nella crescita degli attivi della Fed il cui valore complessivo oscilla ora intorno a quota 7.000 miliardi di dollari: un numero comunque enorme che si traduce in un eccesso di offerta di moneta.