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Rimborso buoni postali: cosa si rischia rischio se il cointestatario muore?

Ancora regolari dai decreti del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e n. 256 del 1989, normativa poi abolita dal decreto legislativo n. 284 del 23 luglio 1999 e dai successi decreti ministeriali attuativi, ma rimasta vigente e applicabile per tutti i titoli emessi in data anteriore, i buoni postali meritano un’attenzione particolare. Presa in esame la loro durata trentennale, tanti di loro sono venuti negli ultimi anni a scadenza, riservando sorprese sgradite ai rispetti titolari. Difatti, sono numerosissimi i casi di intestatari che si sono visti respingere la domanda di rimborso da Poste Italiane, in ragione del decesso di un altro cointestatario del buono medesimo. 

Per Poste Italiane è prassi consolidata richiedere la quietanza di tutti gli aventi diritto e, pertanto, degli eredi del cointestatario defunto, al fine di permetterne la relativa riscossione. Ciò accade malgrado la presenza della clausola PFR, ossia di “pari facoltà di rimborso”, apposta sui singolo buoni, che sostanzialmente rende l’obbligazione solidale dal lato attivo. Com’è piuttosto intuitivo, ciò ha provocato parecchi problemi, non essendo affatto remota l’ipotesi del decesso di uno dei cointestatari decorsi spesso trenta e più anni dalla sottoscrizione del buono. 

La normativa applicabile 

A fronte di una legislazione ben lungi dal potersi definire cristallina, si sono susseguite nel tempo varie sentenze di merito di segno opposto. Orientamenti pronunciati dai giudici che hanno reso la questione ancora più ingarbugliata e di difficile lettura. 

Ad un certo punto, i dubbi sembravano finalmente dipanati, in seguito alla sentenza n. 4504 del 25 ottobre 2017 della Corte d’Appello di Milano, la quale, in buona sostanza, aveva ritenuto l’articolo numero 187 del DPR 256/1989 inapplicabile, sulla base del fatto che la disciplina dei libretti postali può essere altresì applicata pure sui buoni postali esclusivamente in via sussidiaria, qualora il Titolo VI, che espressamente li regolamenta, non disponga diversamente. 

Ebbene, partendo dal presupposto che tale titolo, esattamente l’art. 208, stabilisce la rimborsabilità dei buoni a vista, senza alcuna distinzione tra ipotesi di cointestatari ancora tutti viventi o di decesso di uno o più di essi, la Corte meneghina ha definito inapplicabile l’art. 187, la cui natura sussidiaria impedirebbe la regola a una norma esplicitamente dettata dal sopra richiamato Titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica numero 256 del 1989. 

Il recente conflitto tra la Corte d’Appello di Milano e la Corte di Cassazione 

La sentenza emanata dalla Corte d’Appello di Milano pareva aver finalmente dipanato i dubbi e le perplessità sull’argomento. E invece la questione non è stata archiviata. Ciò poiché, con ordinanza n. 11137, 14 febbraio – 10 giugno 2020, la Corte di Cassazione ha riformato la citata sentenza meneghina. Con lapidaria motivazione, la Suprema Corte si è attenuta a evidenziare che l’ipotesi di decesso di uno dei cointestatari non risulta specificatamente regolata dalle norme di cui al Titolo VI del DPR 256/89 e deve, di conseguenza, essere risolta secondo i principi generali, che si rinvengono proprio nell’articolo 187, applicabile pure ai buoni postali in virtù del richiamo operato dall’art. 203. 

Il caso ha assunto contorni ulteriormente confusi nel prosieguo, infatti nemmeno detta ordinanza ha chiuso la diatriba. Successivamente, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2527 del 9 ottobre 2020, è successivamente tornata in merito alla questione e ha espressamente criticato nonché disatteso la recentissima pronuncia della Cassazione, arricchendo le motivazioni a supporto della tesi espressa in precedenza. Nella fattispecie, la Corte ha rilevato che l’applicazione dell’articolo 208 è applicabile a ciascun caso d rimborso dei buoni in esame.

Inoltre, ha aggiunto che la sua esistenza preclude l’applicazione della disciplina disposta per i libretti postali, rendendo operante la clausola di salvezza di cui all’art. 203 del decreto del Presidente della Repubblica numero 256 del 1989 e che non può ritenersi altresì applicabile la disciplina speciale (che deroga a quella generale), delineata per una differente fattispecie, più precisamente per i libretti di risparmio, esclusivamente in virtù del rinvio non esplicito contenuto nell’art. 203, il quale, essendo norma derogatoria al principio generale previsto per ciascun credito solidale – ha concluso la Corte d’Appello di Milano – non può che essere di stretta interpretazione, ai sensi dell’articolo 14 preleggi. 

E dunque? Quali sviluppi avrà la vicenda? Ovviamente bisognerà tenerla debitamente monitorata, in quanto, fino al momento in cui scriviamo tale articolo, regna sovrana l’incertezza, anche se, in fin dei conti, le argomentazioni avanzate dalla Corte meneghina a sostegno della sua tesi appaiono condivisibili. Non sembra ovvero andare incontro a principi meritevoli di tutela la versione di Poste Italiane che indurrebbe a derogare il regime generale delle obbligazioni solidali, l’accordo contrattuale indicato nella clausola PFR e la chiara disposizione di cui all’articolo 208, sulla base del dubbio richiamo operato dall’art. 203, avente peraltro natura chiaramente sussidiaria.